Compagna banca
La prima verità da mettere sul tavolo in relazione al caso Mps è che il collasso imminente dell’istituto di credito senese era un vero e proprio segreto di pulcinella: che l’acquisizione di Antonveneta fosse stata una vera Caporetto era perfettamente ovvio a tutti gli attori coinvolti, di sicuro questa situazione era chiarissima all’insediamento del governo Monti. A partire da questa osservazione tuttavia se ne possono fare altre, che ci permettono di leggere, in controluce quello che è il ruolo politico reale del Partito Democratico in questa fase storica.
Andiamo in ordine. In molti si sono chiesti le ragioni dell’insistenza del centrosinistra nel sostenere il governo Monti, soprattutto in una fase storica in cui una tornata di elezioni anticipate gli avrebbe, probabilmente, fornito una maggioranza stellare. Indubbiamente ha giocato a favore del governo tecnico non tanto la necessità di contenere la crisi, su cui la “reggenza Monti” non ha avuto nessun impatto (le decisioni rilevanti sono state prese dalla cancelleria tedesca e dalla BCE) , quanto la volontà inveterata dei piddini di compiacere gli eurocrati, niente di nuovo dato che sappiamo che i “democratici” nostrani da vent’anni uggiolano sotto al banchetto del potere europeo, nella speranza di ingrassarsi con le briciole cadute dal tavolo.
Ciò che è rilevante, e che fornisce una lente molto chiara con cui sezionare il potere “democratico” in Italia, è precisamente la vicenda MPS. In sostanza, la crisi di MPS è palese già dagli inizi del 2011, e il PD deve metterci una pezza altrimenti perde il principale polmone finanziario della compagine politica. Da questo punto di vista, le parole d’ordine europee che impongono di salvare gli istituti di credito “costi quel che costi” non potevano arrivare in un momento migliore: il governo Monti si può dotare di una “stampella sinistra”, il PD, che, in cambio, riceverà il salvataggio del suo centro di potere finanziario. L’operazione di salvataggio costerà 3,9 mld, praticamente più del gettito dell’IMU sulla prima casa, ovviamente Grilli e, per vie traverse il Partito Democratico, rassicurano non si tratta di un prestito “a babbo morto” ma di una sottoscrizione di Bond (al 9%) che l’istituto di credito rimborserà comodamente in 3 anni.
Certo, pero noi siamo maliziosi e vogliamo andare a verificare: in primo luogo, consideriamo una cosa, la banca è scoperta, nei confronti dello Stato, di 3 mld e spicci, per via, appunto, dei Monti-bond, tuttavia l’istituto di credito, alle quotazioni attuali non ne vale più di due e mezzo, quindi a meno di improbabili utili stellari nel 2013 la nazionalizzazione è cosa fatta. Di fatto il tesoro s’è comprato MPS, pagandola pure troppo. Saltando l’ipotetico rientro dal prestito resta il brillante “Piano B” del ministro Grilli: rilevare l’istituto e rivenderlo al migliore offerente. Brillante idea, peccato che la storia delle privatizzazioni italiane sia stata, di fatto, la storia di un enorme regalo al capitale finanziario. Anche un arcinoto covo di sovversivi quale la Corte dei Conti giunge sostanzialmente alle stesse conclusioni riportate nel “rapporto sulle cartolarizzazioni”. Quindi abbiamo un istituto di credito, di fatto, insolvente, che sul mercato vale una frazione di quanto è stato effettivamente pagato, con “in pancia” una quantità di titoli tossici sinceramente difficile da stimare. Sicuramente i nostri eroi riusciranno a spuntare un prezzo vantaggioso. In definitiva sarà populista, sarà demagogico, ma è innegabile che i soldi dell’IMU siano serviti per salvare la pelle della “finanza democratica”.
La seconda verità che la vicenda MPS è in grado di raccontarci parte dal salvataggio della “finanza rossa” e ha a che fare con il ruolo del partito democratico nell’attuale fase del “neoliberalismo zombie”, caratterizzata da una prevalenza della rendita finanziaria e immobiliare sul profitto. Indubbiamente il capitalismo italiano, nell’ultimo decennio, è stato caratterizzato dall’esplosione della rendita fondiaria: nel periodo 2001-2010 i fondi immobiliari di diritto italiano hanno generato profitti superiori a qualsiasi altra strategia di investimento finanziaria o industriale. Ciò che resta meno ovvio sono gli agganci fra il Partito Democratico e questa macchina della rendita che produce profitto consumando reddito e territorio. Al di la dell’ovvio ruolo svolto da Legacoop all’interno di questo ciclo di accumulazione vi è almeno un altro gruppo di enti, in orbita politica del PD, in grado di produrre sostanziali profitti dall’aumento della rendita fondiaria, le fondazioni bancarie.
Le fondazioni controllano la quota di maggioranza relativa di due su tre dei più importanti istituti di credito italiani (MPS ed Intesa Sanpaolo) e di un gran numero di banche “minori” (come Carige e Cariparma), allo stesso tempo le fondazioni riescono a catturare la rendita finanziario-immobiliare sostanzialmente in due modi: in primo luogo sono proprietarie di un ingente patrimonio (IMU esente) che si rivaluta con l’incremento della rendita fondiaria (e quindi dell’affitto o del costo dell’acquisto); in secondo luogo le fondazioni, in quanto azionisti delle banche hanno beneficiato, tramite dividendi, dell’enorme bolla del credito immobiliare che ha finanziato il settore fino alla recente crisi di liquidità.
Oltre a poter nominare, seppure per via indiretta, il CDA delle banche “controllate” il Partito Democratico è anche nella posizione di poter “spingere” la rendita fondiaria, sia a livello nazionale (ad esempio con la riforma del Titolo V e con la legge Lupi) sia a livello delle singole amministrazioni controllate. Abbiamo, in questo intreccio di poteri, una situazione disastrosa, in cui l’amministratore locale è incitato ad incrementare il volume del costruito, e quindi a generare un aumento sia del debito pubblico locale, per via dell’aumento del costo di erogazione dei servizi, sia del debito locale, per via dell’incremento dei costi per mq. La realtà è che poche cose hanno svelato il volto nascosto del partito democratico come la “vicenda Montepaschi” e ciò che questa storia racconta non è solo una vicenda di malversazione e di governance fallimentare, non emerge una “mela marcia” in un sistema altrimenti sano, ma si delinea è un intero complesso parassitario che, per sopravvivere, necessita di produrre debito e miseria attorno a se.
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