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Compagna banca

February 12th, 2013 Comments off

La prima verità da mettere sul tavolo in relazione al caso Mps è che il collasso imminente dell’istituto di credito senese era un vero e proprio segreto di pulcinella: che l’acquisizione di Antonveneta fosse stata una vera Caporetto era perfettamente ovvio a tutti gli attori coinvolti, di sicuro questa situazione era chiarissima all’insediamento del governo Monti. A partire da questa osservazione tuttavia se ne possono fare altre, che ci permettono di leggere, in controluce quello che è il ruolo politico reale del Partito Democratico in questa fase storica.

Andiamo in ordine. In molti si sono chiesti le ragioni dell’insistenza del centrosinistra nel sostenere il governo Monti, soprattutto in una fase storica in cui una tornata di elezioni anticipate gli avrebbe, probabilmente, fornito una maggioranza stellare. Indubbiamente ha giocato a favore del governo tecnico non tanto la necessità di contenere la crisi, su cui la “reggenza Monti” non ha avuto nessun impatto (le decisioni rilevanti sono state prese dalla cancelleria tedesca e dalla BCE) , quanto la volontà inveterata dei piddini di compiacere gli eurocrati, niente di nuovo dato che sappiamo che i “democratici” nostrani da vent’anni uggiolano sotto al banchetto del potere europeo, nella speranza di ingrassarsi con le briciole cadute dal tavolo.

Ciò che è rilevante, e che fornisce una lente molto chiara con cui sezionare il potere “democratico” in Italia, è precisamente la vicenda MPS. In sostanza, la crisi di MPS è palese già dagli inizi del 2011, e il PD deve metterci una pezza altrimenti perde il principale polmone finanziario della compagine politica. Da questo punto di vista, le parole d’ordine europee che impongono di salvare gli istituti di credito “costi quel che costi” non potevano arrivare in un momento migliore: il governo Monti si può dotare di una “stampella sinistra”, il PD, che, in cambio, riceverà il salvataggio del suo centro di potere finanziario. L’operazione di salvataggio costerà 3,9 mld, praticamente più del gettito dell’IMU sulla prima casa, ovviamente Grilli e, per vie traverse il Partito Democratico, rassicurano non si tratta di un prestito “a babbo morto” ma di una sottoscrizione di Bond (al 9%) che l’istituto di credito rimborserà comodamente in 3 anni.

Certo, pero noi siamo maliziosi e vogliamo andare a verificare: in primo luogo, consideriamo una cosa, la banca è scoperta, nei confronti dello Stato, di 3 mld e spicci, per via, appunto, dei Monti-bond, tuttavia l’istituto di credito, alle quotazioni attuali non ne vale più di due e mezzo, quindi a meno di improbabili utili stellari nel 2013 la nazionalizzazione è cosa fatta. Di fatto il tesoro s’è comprato MPS, pagandola pure troppo. Saltando l’ipotetico rientro dal prestito resta il brillante “Piano B” del ministro Grilli: rilevare l’istituto e rivenderlo al migliore offerente. Brillante idea, peccato che la storia delle privatizzazioni italiane sia stata, di fatto, la storia di un enorme regalo al capitale finanziario. Anche un arcinoto covo di sovversivi quale la Corte dei Conti giunge sostanzialmente alle stesse conclusioni riportate nel “rapporto sulle cartolarizzazioni”. Quindi abbiamo un istituto di credito, di fatto, insolvente, che sul mercato vale una frazione di quanto è stato effettivamente pagato, con “in pancia” una quantità di titoli tossici sinceramente difficile da stimare. Sicuramente i nostri eroi riusciranno a spuntare un prezzo vantaggioso. In definitiva sarà populista, sarà demagogico, ma è innegabile che i soldi dell’IMU siano serviti per salvare la pelle della “finanza democratica”.

mps-montepaschi-PD

La seconda verità che la vicenda MPS è in grado di raccontarci parte dal salvataggio della “finanza rossa” e ha a che fare con il ruolo del partito democratico nell’attuale fase del “neoliberalismo zombie”, caratterizzata da una prevalenza della rendita finanziaria e immobiliare sul profitto. Indubbiamente il capitalismo italiano, nell’ultimo decennio, è stato caratterizzato dall’esplosione della rendita fondiaria: nel periodo 2001-2010 i fondi immobiliari di diritto italiano hanno generato profitti superiori a qualsiasi altra strategia di investimento finanziaria o industriale. Ciò che resta meno ovvio sono gli agganci fra il Partito Democratico e questa macchina della rendita che produce profitto consumando reddito e territorio. Al di la dell’ovvio ruolo svolto da Legacoop all’interno di questo ciclo di accumulazione vi è almeno un altro gruppo di enti, in orbita politica del PD, in grado di produrre sostanziali profitti dall’aumento della rendita fondiaria, le fondazioni bancarie.

Le fondazioni controllano la quota di maggioranza relativa di due su tre dei più importanti istituti di credito italiani (MPS ed Intesa Sanpaolo) e di un gran numero di banche “minori” (come Carige e Cariparma), allo stesso tempo le fondazioni riescono a catturare la rendita finanziario-immobiliare sostanzialmente in due modi: in primo luogo sono proprietarie di un ingente patrimonio (IMU esente) che si rivaluta con l’incremento della rendita fondiaria (e quindi dell’affitto o del costo dell’acquisto); in secondo luogo le fondazioni, in quanto azionisti delle banche hanno beneficiato, tramite dividendi, dell’enorme bolla del credito immobiliare che ha finanziato il settore fino alla recente crisi di liquidità.

Oltre a poter nominare, seppure per via indiretta, il CDA delle banche “controllate” il Partito Democratico è anche nella posizione di poter “spingere” la rendita fondiaria, sia a livello nazionale (ad esempio con la riforma del Titolo V e con la legge Lupi) sia a livello delle singole amministrazioni controllate. Abbiamo, in questo intreccio di poteri, una situazione disastrosa, in cui l’amministratore locale è incitato ad incrementare il volume del costruito, e quindi a generare un aumento sia del debito pubblico locale, per via dell’aumento del costo di erogazione dei servizi, sia del debito locale, per via dell’incremento dei costi per mq. La realtà è che poche cose hanno svelato il volto nascosto del partito democratico come la “vicenda Montepaschi” e ciò che questa storia racconta non è solo una vicenda di malversazione e di governance fallimentare, non emerge una “mela marcia” in un sistema altrimenti sano, ma si delinea è un intero complesso parassitario che, per sopravvivere, necessita di produrre debito e miseria attorno a se.

Il grande saccheggio: ciclo edilizio ed espropriazione

September 27th, 2012 Comments off

falling building public domainDal 2007 ad oggi siamo stati letteralmente assaliti dalla narrazione della crisi, un fiume di parole ed interpretazioni ci ha condotto, anno dopo anno, in uno stato di sovraccarico informativo. In questa condizione, pur essendo perfettamente consapevoli della gravità della crisi, ci mancano gli strumenti per comprendere come la condizione di impoverimento che ci troviamo ad affrontare quotidianamente sia, strutturalmente, collegata all’accumulazione di profitto a vantaggio di pochi.

La casa e, più in generale il diritto ad abitare, rappresentano un punto critico per spiegare questa connessione: da un lato l’accesso ad un abitazione decente rappresenta uno dei diritti sociali fondamentali, dall’altro la recente finanziarizzarizzazione dell’economia ha trasformato il volto del settore edilizio; la casa, prima ancora di essere un diritto fondamentale, rappresenta un eccellente occasione di mietere profitti privati a spese della collettività.

Crescita dei prezzi, mutui e debito privato

Secondo i dati del cresme1 a partire dal 2000 assistiamo ad un incremento verticale dei prezzi degli immobili residenziali. Consideriamo come termine di paragone il 1992, ovvero l’apice del precedente ciclo immobiliare (e quindi precedente massimo storico nell’andamento dei prezzi). Fatto cento il prezzo del 1992, nel 2000 il prezzo di un immobile in un capoluogo di media dimensione ammonta al 107% del prezzo di riferimento, nel 2009 il prezzo arriva al 130% per poi ridiscendere nei due anni successivi. Più contenuto è l’aumento nei grandi capoluoghi, in questa tipologia di insediamento i prezzi raggiungono il loro massimo (124%) nel 2007, per poi ridiscendere.
A partire da questi dati due sono le considerazioni da fare. In primo luogo nel 2011 e 2012 assistiamo una riduzione dei prezzi ma che, come si può leggere dal grafico (cfr. img 1) e soprattutto dai precedenti cicli, probabilmente ci consegnerà un mercato in cui i prezzi si collocheranno comunque a livelli superiori rispetto al passato. In secondo luogo il nuovo ciclo speculativo-immobiliare si manifesta in un periodo di contrazione dei salari. Se alla fine degli anni 80 la quota salari, ovvero la parte di ricchezza creata dai processi produttivi che finisce ‘in tasca’ ai lavoratori dipendenti, era relativamente stabile, dopo il ’91 assistiamo ad un crollo drammatico di questo indicatore2. In altre parole, in questo momento, stiamo comprando o affittando case che costano molto di più con molti meno soldi.cicli immobiliari italiani 2011

Il risultato è facilmente intuibile: una crescita sostenuta del debito privato che viaggia di pari passo con la crescita del mercato dei mutui. Secondo i dati Bankitalia3 Il valore totale dei mutui immobiliari emessi dalle banche, è più che raddoppiato nell’arco 2001-2010. Sempre nel 2010, secondo i dati Eurostat, sulle famiglie italiane gravava, in media, un debito pari al 65% del reddito annuale, come si può vedere dal grafico (cfr img 2), nel 2000 questo rapporto era dimezzato. Con ogni probabilità buona parte di questo colossale aumento del debito privato ha contribuito al finanziamento dell’ultima bolla immobiliare.

Contemporaneamente, c’è da considerare anche un secondo problema, il ciclo edilizio 2000/2008 ha comportato un consumo di suolo senza precedenti. Secondo Legambiente, nel solo 2011 è stata urbanizzata un’area di 500 km2, pari a tre volte l’area edificata del comune di Milano. All’espropriazione economica si aggiunge, quindi anche l’espropriazione ecologica, con tutto quello che ne consegue, in termini di malattie respiratorie, tumori e patologie cardiache.

Il ruolo dello Stato

Ovviamente tutto questo avviene senza la bencheminima tutela dell’abitante da parte del settore pubblico: l’edilizia popolare è data per dispersa dalla fine degli anni ’70 e l’edilizia a canone convenzionato agonizza fra le grinfie delle coperative edilizie, interessate a tutto tranne che a fornire alloggi ad una cifra abbordabile. Aggravando ulteriormente la situazione, lo Stato continua a pompare soldi nel settore delle costruzioni, finanziando, praticamente a fondo perduto mega progetti di dubbia utilità, i quali sono inoltre afflitti da una cronica mancanza di trasparenza4.

Facendo un passo indietro ed osservando il fenomeno nella sua complessità, possiamo renderci conto di come un settore chiave dell’economia italiana sia stato, di fatto, garantito dallo Stato almeno da tre punti di vista. In primo luogo tramite la spesa per le infrastrutture. In secondo luogo venendo meno a quello che dovrebbe essere il suo mandato a garantire una dignitosa qualità della vita. Infine agendo sulle amministrazioni locali, in maniera da favorire il comparto edilizio.

Seguendo l’andamento dei bilanci comunali nel corso dell’ultimo trentennio possiamo renderci conto di come questo sia avvenuto. Secondo i dati Istat5 negli anni 80, in media, i comuni si finanziavano per il 30% emettendo imposte locali e, per il restante 70%, mediante trasferimenti da Stato e regioni. Nel corso degli anni 2000 questa proporzione si è ribaltata, il 70% dei finanziamenti deriva dalle imposte locali e solo il 30% dai trasferimenti. Nel corso degli anni 2000 è anche cresciuto il debito delle amministrazioni locali, se nel 2004 il debito combinato di comuni e provincie ammontava al 1.6% del pil, questa cifra in soli 7 anni è quesi raddoppiata, infatti nel 2011 il solo debito dei comuni ammontava al 3.1% del pil.

debito come proporzione del reddito

Blocco edilizio, accumulazione per spoliazione

Che esista un collegamento forte fra entità dei trasferimenti e debolezza dell’amministrazione locale nei confronti degli speculatori è cosa riconosciuta in letteratura specializzata6: un’amministrazione dipendente dalle entrate locali (e magari indebitata) difficilmente potra permettersi di rinuciare alle entrate fiscali aggiuntive prospettate da nuovi progetti immobiliari; in particolare non potrà permettersi di fare a meno degli oneri di urbanizzazione, i quali svolgono un ruolo sempre più importante nel bilancio dei comuni.

Ciò che possiamo osservare non è il funzionamento, ‘naturale’ degli attori di mercato ma assomiglia più ad un mercato ‘garantito’ da un nuovo ‘blocco edilizio’7: una rete di attori pubblici e privati, uniti dallo scopo di sostenere la redditività del settore edilizio, se necessario creando la domanda per ciò che il mercato vende. Da questo punto di vista, l’assenza di nuovi, significativi, progetti di edilizia popolare, le costrizioni fiscali sui comuni e la sovvenzione praticamente a ‘fondo perduto’ dei progetti di ‘ingegneria faraonica’ assumono una connotazione più complessa della semplice ‘disorganizzazione con corruzione diffusa’, categoria con cui siamo abituati a leggere questi fenomeni.

Da parte di questo intero blocco di attori c’è stato un tentativo, pienamente riuscito, di espandere la sfera del mercato ai danni della sfera della riproduzione. Ricollegandoci al discorso fatto in Sottotraccia n4, possiamo affermare che si tratta di un fenomeno di accumulazione per spoliazione: un mercato maturo ha necessità di espandersi e per farlo necessità di creare domanda tramite la canellazione di diritti un tempo garanti di equità sociale e redistribuzione, in questo caso il diritto all’abitare ed il diritto a vivere in un ambiente non tossico.

In questo ed in altri casi, se si vuole elaborare un contributo teorico utile a combattere l’egemonia politica neoliberale è urgente riuscire ad affinare e diffondere concetti politici ed analisi empiriche che possano permettere di ricollegare la crisi individualmente vissuta con l’esperienza della crisi economica. Solo in questo modo possiamo avere la speranza di elaborare una proposta politica sufficientemente fondata e radicale ed in grado riconquistare un’emancipazione sociale che, altrimenti, rischia di venire schiacciata sotto il tallone del progetto neoliberale.

1Fonte: Cresme, osservatorio valori immobiliari

2Fonte: lavoce.info 28-08-10 “la slavina dei redditi da lavoro dipendente”

3Bollettino statistico Bankitalia 2001-2011

4Vedi: Cemento d’oro, Sottotraccia n 7

5 Istat Rilevazione dei conti consuntivi dei Comuni e delle Province

6 Savitch Kantor 2002 Savitch Kantor Vicari 1997, Molotch 1999

7 Valentino Parlato 1974 “il blocco edilizio”

originariamente pubblicato su sottotraccia.org